Croazia, Bosnia-Erzagovina e Serbia
- giagisamu
- 7 lug 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 19 lug 2021
Agosto 2005

Eravamo nel 2005, Giada ed io stavamo insieme da poco più di un anno, non abitavamo ancora insieme, non avevamo una macchina, internet non era ancora così diffuso, non avevamo neanche 30 anni...insomma: una vita fa! Decidemmo di partire per uno dei viaggi più belli che abbiamo mai fatto, di quelli che ci hanno regalato scene, ricordi ed immagini che ci ricordiamo spesso ancora oggi. Il nostro obiettivo era quello di attraversare i Paesi della ex Jugoslavia, in cui la guerra era finita da pochi anni, per arrivare fino alla Transilvania, in Romania. Volevamo esplorare terre così vicine a noi, ma che al tempo stesso percepivamo come una frontiera in cui vivevano etnie diverse.
La nostra organizzazione consisteva in una Opel Corsa, un biglietto per il traghetto Jadrolinija di andata e ritorno da Bari a Dubrovnik, una tenda da campeggio, pacchi di friselle per non morire di fame, qualche cartina (i navigatori satellitari non c’erano, e di smartphone neanche a parlarne!), dei fogli di ricerche fatte su internet e 15 giorni a disposizione.
Partimmo dal porto di Bari in serata, l’8 agosto 2005, mi ricordo ancora la lunghissima fila di macchine all’imbarco del traghetto e la paura di non riuscire ad imbarcarci in tempo! Il nostro biglietto prevedeva solo il passaggio ponte e facemmo viaggio di notte quasi tutto all’aperto... roba che se lo facessi oggi avrei mal di testa per un mese di fila! Ma che emozione l’alba passata ad ammirare la costa croata che si avvicinava e che dava inizio alla nostra avventura.
Appena sbarcati, timbro sul passaporto e ci dirigemmo al campeggio Auto Kamp Solitudo, di Dubrovnick, dove ci concedemmo un giorno di mare (occhio all’acqua gelata!), esplorando la città, e passammo la nostra prima notte. Da qui, il giorno seguente, partimmo per Mostar.
Lungo la strada costiera che punta verso nord, incontrammo la prima frontiera con la Bosnia, per poi rientrare in Croazia (la Bosnia ha uno stretto lembo di terra che costituisce il suo sbocco sull’Adriatico) e, puntando verso l’interno, rientrammo in Bosnia. La strada costeggiava il fiume Narenta, in un paesaggio di montagna in cui spuntavano le moschee. Nel tragitto notammo per la prima volta i cartelli rossi “Pazi – Mine”, appesi sugli alberi al lato della strada, ad indicare che le zone circostanti erano campi minati, ereditati dalla guerra.
Arrivammo a Mostar e prendemmo alloggio in una stanza affittata da due gentilissimi anziani, in una casa molto semplice (in camera non c’era il pavimento), ma decorosa. Poi uscimmo a visitare la città, con il suo famoso ponte ed il centro storico perfettamente ricostruiti, che stridevano con i palazzi in rovina e bombardati che si incontravano appena fuori. C’erano tanti soldati ancora in giro, anche italiani. Rientrati in camera ci concedemmo una cena a base di friselle e pomodorini!
Il giorno dopo ripartimmo in direzione Sarajevo. Non percorrevamo autostrade, ma stradine strette, malandate, a volte sterrate che si inerpicavano sulle montagne, che tagliavano campi coltivati o villaggi minuscoli. Arrivammo a Sarajevo dopo un viaggio infinito, non tanto per la distanza percorsa, ma per la lentezza degli spostamenti causata, appunti, dalla condizione delle strade. Per trovare un posto dove dormire entrammo, non so come, in una sorta di agenzia gestita da intraprendenti signore che ci trovarono una stanza in una casa poco fuori dal centro, su un’altura. Una delle signore ci fece cenno di seguirla, facendoci capire che ci avrebbe accompagnato alla casa. Salì su una macchina, tipo una Fiat 128, e partì come un razzo, sfrecciando nelle tortuose stradine della città, neanche fosse al GP di Montecarlo! Tutti i palazzi e le case della città portavano i segni dei bombardamenti, con schegge di granate sulle facciate. Arrivati al nostro alloggio, notammo che i proprietari, anche in questo caso due anziani, ci avevano affittato la loro camera da letto e che nel salotto della casa, in una vetrina, facevano bella mostra le scarpe che la signora aveva indossato al suo matrimonio.
Andando a scoprire la città, ci rendemmo conto di quanto Sarajevo portasse ancora i segni della guerra: palazzi in rovina, facciate sfregiate dai colpi delle granate, le tristemente famose “Rose di Sarajevo” sui marciapiedi. Abbiamo girovagato per Bašcaršija, il centro storico della città, abbiamo visitato il Pijaca Markale, il mercato, luogo di tremendi massacri durante l’assedio dei Serbi. Decidemmo di andare a vedere il Tunnel, costruito durante la guerra sotto la pista dell’aeroporto della città, per collegarla al resto della Bosnia. L’assedio serbo, infatti, oltre a tenere la popolazione sotto il tiro dei cecchini, non permetteva il libero accesso in città di viveri, uomini ed aiuti umanitari. Il Tunnel, quindi, aveva svolto un ruolo fondamentale per garantire la sopravvivenza della popolazione e, una volta terminata la guerra, era stato trasformato in un museo. Non ci sono parole per descrivere posti come quello. Si ha la sensazione di essere in un luogo storico, che ha segnato gli eventi di un popolo e di una città. Si può solo osservare, riflettere e cercare di immaginare ciò che ha vissuto chi viveva lì.
Mentre ci trovavamo in città, una sera, cercando un posto dove fare una pausa-birra, siamo capitati in un bar frequentato da ragazzi del luogo e ci siamo seduti. Mentre eravamo tranquilli a chiacchierare, abbiamo sentito una canzone familiare, con un arrangiamento...particolare: il dj, capendo che eravamo Italiani, in nostro “onore” aveva messo su una versione metal di Bella Ciao! Noi abbiamo gradito molto e lui è stato contento della nostra reazione.
Dopo Sarajevo decidemmo di puntare verso Belgrado. Il viaggio fu un’avventura! Studiando la cartina, avevamo notato che a circa metà strada si trovava Tuzla, che sembrava una città abbastanza grande da poter essere visitata ed essere una tappa intermedia. Purtroppo, al nostro arrivo fummo accolti da gigantesche ciminiere e condomini di stampo sovietico, che non ci fecero una buona impressione...Così, dopo una pausa-birra che servì a schiarirci le idee, decidemmo di non fermarci e proseguire. ...per la cronaca: tornati a casa, cercando su internet, ci rendemmo conto che la città era graziosa ed avremmo potuto fermarci, ma evidentemente, noi non eravamo arrivati nel quartiere giusto.
Ripartiti da Tuzla, attraversammo aree montuose e campi di mais senza fine... e ad un certo punto non sapevamo più dove fossimo. Non riuscivamo più a raccapezzarci, trovando sulla cartina la nostra posizione. Arrivammo ad un villaggio e l’unica soluzione era provare a chiedere aiuto a qualcuno (ben consapevoli che nessuno avrebbe parlato Italiano e difficilmente Inglese). Scesi dalla macchina, cartina alla mano, per chiedere informazioni ed ebbi un colloquio con un signore con due denti che prendeva l’acqua da una fontana...mi avrà parlato per un quarto d’ora e sarà stato sicuramente chiarissimo e gentilissimo, solo che io non capii un caxxo!!! E Giada di questo si rese conto dalla faccia che avevo quando tornai in macchina. Non avevamo scelta, potevamo solo proseguire. Ad un certo punto la situazione peggiorò e ci sentimmo catapultati in un altro mondo: i cartelli stradali erano solo in Cirillico! Non credevamo ai nostri occhi!!! Eravamo entrati nella Repubblica SRPSKA, enclave serba in Bosnia Erzagovina. Alla fine, non sappiamo assolutamente come, arrivammo alla frontiera con la Serbia, sul fiume Sava, e da lì ritrovammo le indicazioni che ci permisero di proseguire verso Belgrado.
Si capiva subito che eravamo arrivati in una grande città! Andando verso il centro passammo dal palazzo della TV Serba, che era stato bombardato durante le incursioni aeree della Nato di qualche anno prima. Non avevamo idea di dove avremmo dormito quella notte. Decidemmo di chiedere informazioni ad un tassista che, ancora non ci credo, fu così gentile da farci segno di seguirlo e ci accompagnò all’hotel Balkan, sistemazione decorosissima in centro città. Mi ricordo ancora il telefono arancione che avevamo in camera e che arrivava direttamente dagli anni 70. Belgrado ci colpì molto. Non ce l’aspettavamo così: era una metropoli, con un sacco di gente per strada, persone molto socievoli e simpatiche.
A questo punto, la prossima tappa del nostro viaggio ci avrebbe dovuto portare verso la Romania. Ma quell’anno l’estate era stata particolarmente piovosa e c’erano state alluvioni proprio nella zona in cui saremmo dovuti passare noi. Decidemmo, quindi, di cambiare programma e dirigerci verso la costa croata. Da Belgrado prendemmo la nuovissima autostrada che portava a Zagabria, fermandoci a Banja Luka per spezzare il viaggio.
Da Banja Luka facemmo tappa a Spalato, dove cambiammo la data di imbarco del nostro traghetto, trovando posto su una nave che sarebbe partita due giorni dopo, da Zara verso Ancona. Ne approfittammo per goderci ancora un po’ di mare, fermandoci a Marina, dove abbiamo mangiato dei buonissimi gamberoni in riva al mare.
Il giorno dopo siamo arrivati a Zara ed abbiamo fatto un giro in questa bellissima città. La mattina seguente avevamo il traghetto molto presto, quindi, da giovani aitanti quali eravamo, decidemmo di risparmiare e dormire in macchina. Dormimmo veramente poco, ma eravamo davvero felici e pieni delle esperienze che avevamo vissuto nel nostro avventuroso viaggio!
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